La pandemia da COVID-19 ha portato a delle modifiche, più o meno radicali, al normale svolgimento delle attività lavorative. Abbiamo deciso di intervistare Giacomo Dall’Ava, HR Manager, per farci raccontare in che modo Tapì abbia reagito e gestito con prontezza l’emergenza.
Giacomo Dall’Ava è responsabile HR di Tapì S.p.A. dal febbraio del 2019. Laureato in Filosofia, con specializzazione in Scienze Cognitive e Processi Decisionali, nel 2017 ha conseguito un Master in People Management e Human Resources presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
A una gestione classica delle Risorse Umane affianca progetti più innovativi relativi al benessere dei dipendenti e alla coltivazione dei talenti: entrambi aspetti sempre più necessari all’interno dell’azienda.
In particolare, ci ha raccontato in che modo Tapì sia riuscita a garantire fin da subito lo svolgimento delle attività lavorative nel pieno rispetto della salute di personale dipendente e collaboratori.
L’Italia sta vivendo un periodo molto particolare, con ripercussioni in svariati settori: come si sta muovendo Tapì nella gestione dei dipendenti e nell’organizzazione del lavoro?
Poiché Tapì rientra tra le aziende indispensabili per la filiera alimentare durante il periodo di lockdown istituito dal Governo abbiamo potuto mantenere aperta l’attività, seppur con ritmi differenti rispetto al solito, a causa del riassestamento in corsa dell’intero mercato.
Ma se da una parte siamo stati fortunati perché abbiamo avuto la possibilità di lavorare senza interruzioni, dall’altra abbiamo dovuto mettere in campo tutto le nostre forze per garantire la sicurezza e la salute dei dipendenti nel minor tempo possibile, seguendo le linee guida del Ministero della Salute e le indicazioni fornite dalla Regione Veneto.
Per minimizzare qualsiasi rischio, il mio team ed io eravamo alla continua ricerca di informazioni ufficiali che ci permettessero di fare di più e di andare oltre il criterio minimo, inserendo più attenzioni di quelle che lo Stato stava dando. Purtroppo, tra la fine di febbraio ed i primi giorni di marzo non si sapeva ancora quanto questa situazione fosse grave e molte aziende si sono trovate a fronteggiare informazioni centellinate, di settimana in settimana, con la necessità di prendere velocemente decisioni per tutelare la salute e la sicurezza dei dipendenti. Sin dall’inizio abbiamo deciso di agire preventivamente adottando misure di sicurezza come, per esempio, una distanza minima di 2 metri tra le persone, i divisori in ufficio tra le postazioni e lo smart working.
Applicare il lavoro da casa, in così poco tempo, per un’azienda come Tapì è stato tutt’altro che facile. Di fatto, siamo un’azienda di produzione e ci siamo trovati ad organizzare lo smart working per un numero elevato di dipendenti in tempi rapidi, tenendo in considerazione le necessità delle diverse funzioni aziendali legate ai processi di produzione.
Ovviamente, niente è impossibile e abbiamo deciso di dare priorità assoluta ai lavoratori con maggiori necessità (i lavoratori cosiddetti fragili, con carenze a livello di salute o con familiari conviventi appartenenti alle categorie più deboli), per poi passare alla gran parte del comparto impiegatizio.
Per quanto riguarda la produzione invece abbiamo sfruttato eventuali giornate di ferie nel periodo più profondo della pandemia. Il tutto senza usufruire, ad oggi, della cassa integrazione messa a disposizione dallo Stato Italiano per coprire questa situazione straordinaria di emergenza.
Attualmente abbiamo ancora diversi dipendenti che usufruiscono del lavoro da casa, poiché abbiamo deciso di mantenere un accesso limitato agli uffici, abbiamo ridotto i flussi di uscita per la pausa pranzo portando all’interno dell’azienda dei pasti confezionati monoporzione, evitando così eventuali assembramenti tra i dipendenti e contatti con luoghi esterni.
Per quanto ora la situazione sia sotto controllo, l’emergenza non può dirsi completamente rientrata e non è questo il momento di vanificare tutti gli sforzi fatti dallo Stato, dalle aziende e dagli stessi cittadini.
In pochi giorni Tapì, come la maggior parte delle aziende italiane, si è trovata ad affrontare cambiamenti che, in normali condizioni, avrebbero richiesto anni per avvenire. Questo cos’ha comportato e quali sono le regole fornite ai dipendenti?
A partire dai primissimi focolai, quello di Codogno e quello di Vo’ Euganeo, abbiamo fatto moltissima informazione con i nostri dipendenti e collaboratori. Ogni settimana mandavamo delle mail con i nuovi regolamenti, interni ed esterni, le indicazioni ministeriali e quelle regionali.
Sin da subito abbiamo deciso di fare una formazione diretta a tutti i dipendenti, sul corretto utilizzo delle mascherine, gel sanificanti e su tutte le novità introdotte in azienda per migliorare i flussi di lavoro evitando il contatto diretto tra le persone. Così è stato per entrambi gli stabilimenti italiani: di Rossano Veneto e Massanzago.
Come dicevo poco sopra, tutte le regole che abbiamo stabilito sono tutt’ora attive perché non è questo il momento di abbassare la guardia, anche come segnale di sensibilizzazione nei confronti dei nostri dipendenti verso quanto accade all’esterno delle mura dell’azienda.
Ci siamo trasformati in divulgatori di quello che succede, anche perché l’emergenza ha portato ad una situazione di infodemia senza precedenti e di difficile gestione, esponendo le persone a fake news molto pericolose (per esempio quella di fare i gargarismi con acqua e candeggina per disinfettare l’organismo). In un momento del genere, di paura dell’ignoto, si è più esposti agli errori ed è per questo che abbiamo voluto aprire una finestra di dialogo così grande con tutti coloro che lavorano al nostro fianco.
Partendo da questa emergenza, quali strade ha intrapreso Tapì per potenziare ulteriormente l’innovazione che l’ha sempre contraddistinta?
Sicuramente tra le innovazioni introdotte troviamo il remote working, non tanto visto come semplice lavoro da casa, ma come agevolazione tra l’organizzazione del lavoro e della vita privata. Infatti, una tra le ombre del lavoro da remoto è quella di essere sempre connessi e, avendo Tapì sedi in tutto il mondo, le comunicazioni possono arrivare a qualunque ora.
Sulla base di questo, il rischio poteva essere quello che le persone non staccassero mai la mente dal lavoro andando così ad incidere negativamente sullo stato di salute e benessere.
Ancora una volta, quindi, il team di task force per affrontare lo stato di emergenza si è trasformato in gruppo di divulgatori, inviando informative chiare su come affrontare il lavoro da remoto, svolgendo le dovute pause e staccando agli orari indicati. Abbiamo cercato di consultare singolarmente i dipendenti, così da avere chiare le singole necessità e trovare delle soluzioni che ben conciliassero la vita lavorativa a quella familiare.
In un momento di grande difficoltà come quello che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo) abbiamo deciso di unirci ancora di più e in questa occasione abbiamo ricevuto un grande sostegno soprattutto da parte dei nostri dipendenti, i quali si sono adattati ai regolamenti senza alcun problema e che ci hanno aiutati nell’intero processo di informazione e sensibilizzazione.
È cambiato il ruolo dell’HR in questo momento? Se sì, in che modo?
Da quanto emerso finora è certo chiaro quanto il ruolo dell’HR sia cambiato. Si sono intensificate le comunicazioni con i dipendenti ed è aumentato ancor di più l’interesse nei confronti del benessere, della salute e della sicurezza delle persone che vivono l’azienda.
Una grande attenzione è stata data alla formazione e all’informazione, anche relativa alle tematiche più personali.
L’emergenza scaturita dalla pandemia da COVID-19 ha posto il mondo del lavoro di fronte a molteplici difficoltà ma, allo stesso tempo, ha offerto nuove opportunità relative a una gestione più smart delle diverse mansioni aziendali. Secondo la sua esperienza, ritiene che l’Italia sia pronta per uno smart working più generalizzato?
Mi sento di affermare che l’Italia è sicuramente pronta, ma dobbiamo far fronte ad alcune problematiche. Spesso si pensa che i freni siano dati da una bassa digitalizzazione del Paese, ma l’emergenza ci ha insegnato che in molti casi disponiamo già oggi degli strumenti di cui necessitiamo per un corretto lavoro da remoto.
Credo, invece, che quello su cui porre maggiormente l’attenzione sia la preparazione a livello personale di dipendenti, manager e imprenditori, un passo verso un cambio di mentalità che tutti siamo chiamati a fare. Per far sì che lo smart working resista anche post emergenza sono necessari due ingredienti: fiducia da parte degli imprenditori e responsabilità da parte dei dipendenti.
Oggi non possiamo realmente misurare se ci sono o non ci sono i presupposti per andare avanti con questo approccio, perché di fatto non c’è mai stato. Non possiamo parlare di smart working vero e proprio, perché semplicemente ci siamo tutti rimboccati le maniche per poter continuare a lavorare tutelando la salute dei dipendenti e collaboratori.
Quando questo virus sarà solo un ricordo si potrà pensare a una formazione, nei confronti del management e dei lavoratori, insegnando il reale valore della mission aziendale e trasmettendo il reale valore del concetto di azienda: non solo un luogo fisico dove recarsi ogni mattina, ma un organismo olistico di conoscenza. Non persone che lavorano singolarmente, ma un ecosistema composto dal lavoro di tutti. Non focalizzarsi sulla propria mansione tecnica specifica, ma una maggior attenzione al ruolo all’interno della filiera aziendale.
Se tutto questo funzionerà, allora sono fermamente convinto che si potrà fare un vero e proprio upgrade.
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